Nei discorsi inerenti la Chiesa, capita spesso di sentir parlare di un cardinale, un vescovo o un sacerdote con l'aggettivo di "tradizionalista" o "progressista". Diciamoci la verità, chi non ha mai sentito questa distinzione? Eppure questi termini, paradossalmente sono le facce di una stessa medaglia. Ma come si può definire un prelato progressista o tradizionalista? Sulla base di cosa un vescovo può essere definito in uno o nell'altro modo? Ad un'analisi più approfondita ci si rende conto che di fatto prima del Concilio Vaticano II nessuno avrebbe detto che mons. Lefebvre, ad esempio, era un vescovo tradizionalista, ma un vescovo cattolico come tanti altri. Al contrario per quanto riguarda i progressisti se ne potevano trovare una buona parte. Erano coloro che si discostavano dalla teologia universalmente riconosciuta e in larga parte di stampo tomista, di coloro che, in barba ai pronunciamenti pontifici precedenti, guardavano ad aperture di stampo liberale, ad interpretazioni delle scritture curiose o in generale ad aperture su temi in cui la Chiesa ha dato già una risposta chiara.
Quello che è accaduto subito dopo il Concilio è piuttosto curioso, la chiesa si è voluta modernizzare, ha cambiato modo di celebrare, con l'introduzione del clergyman ha cambiato modo di apparire nel mondo, ci sono state aperture verso pensieri diametralmente opposti a quello cristiano e così via...
Chi è voluto rimanere legato alla liturgia precedente, o ha voluto continuare a indossare la veste talare invece di adottare il clergyman o chi semplicemente ha voluto difendere il pensiero cristiano fissato dal magistero della chiesa è apparso improvvisamente come un rivoluzionario, come un sovvertitore, come un "conservatore" o più come un "tradizionalista" appunto. Per onestà bisogna comunque dire che questa distinzione con la conseguente contrapposizione era già presente in un certo senso nella chiesa, ma con contorni decisamente meno marcati e meno contrapposti. Cosa è accaduto nello specifico? In buona sostanza i principi prettamente progressisti hanno prevalso sui principi tradizionali, abbattendo un muro che impediva l'evoluzione del pensiero all'interno della Chiesa. Ma si era ben consapevoli, soprattutto in coloro che conoscevano bene la dottrina cattolica, che questo "muro" non era di carattere semplicemente ideologico, era creato dalla consapevolezza che ciò che appartiene alla sfera soprannaturale della rivelazione cristiana, non può essere manomesso da idee e posizioni umane. Non dimentichiamoci infatti che la Chiesa non è nata per scopi umani, anche se spesso la storia sembra aver dimostrato il contrario, la Chiesa è stata voluta da Cristo per trasmettere ciò che lui ha stabilito. Il compito della Chiesa quindi è quello di prendere questo "deposito" e trasmetterlo così come lo ha ricevuto. Ritengo che nella Chiesa sia erroneo parlare di "aggiornamento" perché non può essere aggiornato qualcosa che ha rivelato Dio, possiamo piuttosto parlare di approfondimento, ma questo approfondimento non può contraddire ciò che è approfondito! Sarebbe un paradosso!
Quindi è evidente che il processo avviato dal Concilio Vaticano II non è un processo di approfondimento, ma di vero e proprio cambiamento, in altri termini una rivoluzione.
Ne deriva quindi che l'etichetta del "tradizionalista" è un "mostrum linguisticum" creato da coloro che hanno rotto con l'insegnamento autentico e perenne della Chiesa, creando così una spaccatura fra la Chiesa di sempre e la Chiesa conciliare. Questa discontinuità è evidente a chiunque abbia un minimo di capacità osservativa o anche del semplice buon senso.
Papa Benedetto XVI ha tentato di trovare un filo che legasse il "pre" e il "post" concilio inventandosi la così chiamata "ermeneutica della continuità", asserendo che non esisteva alcuna rottura con il passato, ma che il concilio doveva essere riletto e interpretato alla luce della tradizione e viceversa. Sarebbe interessante capire in che modo Benedetto XVI riesca a vedere continuità fra la liturgia tridentina e quella montiniana, o quale continuità si riesca a trovare fra l'ecclesiologia di comunione del post concilio e la visione piramidale e gerarchica della chiesa preconciliare, o ancora quale continuità ci sia nel diritto canonico del 1917 e quello del 1983. Giusto a titolo esemplificativo è interessante notare come nel codice di diritto canonico del 1917 fra i primi doveri dei chierici siano menzionati la confessione frequente, la visita al Santissimo sacramento, la recita dell'ufficio e altre pratiche di questo genere, nel codice del 1983 al contrario fra i primi doveri viene menzionata l'obbedienza al proprio ordinario. Di quale continuità parliamo? Se davvero ci fosse stata una continuità non ci sarebbero stati tutti i "movimenti tradizionalisti". Se davvero ci fosse stata continuità, sul nuovo messale si sarebbe continuato a menzionare la la costituzione apostolica "Quo primum tempore" di S. Pio V, invece è stata sostituita dalla bolla "Missale Romanum" di Paolo VI. Non mi si venga a dire che questa sia continuità! Questa ermeneutica della continuità mi sembra solo uno specchietto per le allodole, o come diceva Ugo Tognazzi una benemerita "supercazzola"
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| Frontespizi dei Messali di S. Pio V (a sinistra) e di Paolo VI (a destra) |
Tornando quindi al tema centrale, appare evidente che la distinzione che in vari modi già esisteva fra progressisti e conservatori, abbia avuto uno sviluppo consistente nel momento in cui la Chiesa ha voluto cambiare volto, facendo passare ciò che apparteneva al deposito della fede e quindi alla tradizione, come qualcosa di passato ormai non più di moda e quindi "tradizionalista" (nel senso dispregiativo del termine). Al contrario tutte le novità volute o conseguenti al Vaticano II, soprattutto in campo liturgico ma non solo, sono divenute appetibili sfruttando il fascino della novità. Di fatto ciò che era considerato da tutti come "cattolico" in senso stretto se paragonato alla novità è divenuto "tradizionalista".
Purtroppo però la novità che non porta contenuti è destinata ad eclissarsi fino a sparire, e questo è dimostrato dal ritorno di molti fedeli ad una liturgia dove al centro ci sia Cristo e non il prete. Lì dove la tradizione cattolica ha portato avanti con fatica i suoi valori, i frutti si vedono e sono frutti meravigliosi! I seminari tradizionali pullulano di vocazioni, mentre i seminari moderni nei quali ci si conforma al mondo esterno sono sempre più vuoti. Non pensino i monsignori "vaticansecondisti" che chi entra in un seminario della "Fraternità S. Pio X" piuttosto che nel seminario del "Cristo Re" o della Fraternità S. Pietro" sia tutto pizzi e merletti, perché quella fase esteriore e fascinosa prima o poi, in un modo o in un altro va inevitabilmente in secondo piano.
Il ritorno alla tradizione sarà inevitabile, e a dirlo sono i numeri stessi. Basti pensare che in Francia il numero dei seminaristi legati ad istituti "tradizionalisti" supera di gran lunga i seminaristi dei seminari "ordinari". In un articolo di Giuseppe Sandro Mela del 12 gennaio 2023 apparso su senzanubi.wordpress.com, il giornalista analizza alcuni dati che dovrebbero far riflettere tutti i vescovi non solo di Francia. Le vocazioni hanno avuto un tracollo vertiginoso generale, ma ciò che desta curiosità è che contemporaneamente i seminaristi delle realtà "tradizionaliste" crescevano sempre più.
Vogliamo dire che tutti questi ragazzi siano invasati da un irrefrenabile amore per i pizzi e i merletti? Pur ammettendo un'assurdità del genere, quanti di loro resisteranno davanti alle difficoltà di una vita comunitaria, dello studio, degli ordini dei superiori, o più in generale di una vita più dura tipica di un contesto legato alla formazione tradizionale? Sarà l'amore per i pizzi e i merletti a motivarli così tanto fino all'ordinazione sacerdotale? Ne dubito fortemente!
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| Seminaristi della Fraternità S. Pio X (fonte: fsspx.news/it/) |
Voler distinguere fra progressisti e tradizionalisti, è qualcosa di assurdo perché significa in sostanza riconoscere implicitamente che tutto quello che c'è dopo il Vaticano II è in contrasto con ciò che c'era prima, ma questa distinzione, badate bene, non viene dagli ambienti tradizionalisti, ma al contrario da coloro che hanno rotto con la tradizione, e che di fatto hanno creato una distinzione oggi inevitabile.
Si può superare questa distinzione? Non è dato saperlo, possiamo fare tutte le nostre valutazioni e previsioni, ma in buona sostanza questa distinzione oltre ad essere profondamente radicata continua ad allargarsi sempre più. L'unica speranza a parer mio è che la Chiesa torni a vedere la Tradizione come qualcosa di costitutivo della Chiesa stessa piuttosto che qualcosa di scomodo di cui sbarazzarsi.
don Bastiano Del Grillo.




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