Documenti della Chiesa

giovedì 29 maggio 2025

PETIZIONE LifeSiteNews: chiedere a Leone XIV di abbandonare Traditionis Custodes, liberare la Messa Tradizionale

 

Riceviamo, pubblichiamo e aderiamo.


"I fedeli che ne sono attratti non sono ribelli: sono cattolici che amano la Chiesa e vogliono adorarla come facevano i santi".
QUI per firmare la petizione.
Luigi C.


LifeSteNews, 26 maggio 2025


( LifeSiteNews ) — LifeSiteNews ha lanciato una petizione ai cattolici per chiedere che vengano revocate le restrizioni alla messa latina tradizionale.
Intitolata "Chiedete a Papa Leone XIV di abbandonare la Traditionis Custodes e di revocare tutte le soppressioni della Messa latina", la petizione prende atto delle recenti notizie da Charlotte, Carolina del Nord, in cui il vescovo Michael T. Martin ha annunciato che tutte le Messe Latine celebrate nelle chiese parrocchiali diocesane saranno sospese a partire dall'8 luglio.


"Non si tratta solo di un cambiamento di politica liturgica, ma di un vero e proprio spostamento spirituale", si legge nella petizione. "Per anni, il TLM ha prosperato a Charlotte, attirando un numero crescente di fedeli. La riverenza, la musica sacra e la continuità con secoli di tradizione cattolica hanno arricchito le parrocchie e ispirato vocazioni".
“Eppure ora, sotto l’ombra della Traditionis Custodes , queste fiorenti comunità vengono spinte ai margini, letteralmente e spiritualmente”, si legge nella petizione.
La petizione afferma che "Papa Leone XIV deve sentire dai fedeli cattolici di tutto il mondo" che "il MLT non è una minaccia all'unità", ma che "è un tesoro vivo della Chiesa".
"I fedeli che ne sono attratti non sono ribelli: sono cattolici che amano la Chiesa e vogliono adorarla come facevano i santi", continua.

In conclusione, la petizione chiede a tutti gli interessati di “sollecitare rispettosamente Papa Leone XIV ad abbandonare le ingiuste restrizioni della Traditionis Custodes e a consentire al TLM di prosperare di nuovo”.

La speranza nei confronti di Leone XIV non significa "crisi finita".


In queste prime settimane del nuovo pontificato di Leone XIV sembra sempre più netta la distinzione fra coloro che vedono in lui una perfetta continuità con Francesco e coloro che cercano di porsi in una posizione di cautela senza però nascondere un pizzico di entusiasmo.

Sembra delinearsi una divergenza sempre maggiore nel mondo della tradizione, fra coloro che contestano l'operato di questo papa, considerandolo del tutto modernista e quindi da respingere, e coloro che cercano in tutti i modi di trovare segni su cui fondare degli ipotetici cambiamenti di rotta.

Certo è che alcune scelte e alcuni discorsi di questi ultimi giorni fanno pensare che ad aver ragione siano i primi. La nomina della segretaria del dicastero per gli istituti religiosi e i continui richiami al Vaticano II e ai temi e termini tipici del pontificato di Francesco fanno giustamente pensare che il timone della nave sia rimasto pressoché nella stessa posizione.

Come già detto con altre parole in un recente articolo(Qui), credo che sia del tutto normale a mio avviso che colui che ha preso l'eredità di Francesco e in generale l'eredita dei papi post conciliari, non possa distaccarsi in un battito di ciglia dai temi tipici degli ultimi decenni della Chiesa. Questo, a mio modesto parere evidenzia con tutta ovvietà quello che tutti pensiamo, ovvero che la crisi della Chiesa non si è fermata con l'elezione di Leone XIV. Bisogna solo capire se questo pontificato abbia l'intenzione di porre rimedio oppure no.

Ci sono degli aspetti che però devono essere necessariamente presi in considerazione:

1. La Chiesa non è di origine umana, ma divina, e non la si può ne valutare ne giudicare con le logiche umane.

2. La Chiesa, intesa come popolo e corpo mistico di Cristo, in quanto di origine soprannaturale deve attingere alle virtù proprie del cristianesimo come ad esempio la virtù di speranza.

Questi due aspetti sono fondamentali per evitare due tendenze deleterie:

1. Considerare la Chiesa come un organo del tutto umano, meramente politico e materiale, soggetto alle dinamiche umane fra cui l'adeguamento del pensiero al contesto in cui opera.

2. Ridurre la Chiesa ad uno strumento di propaganda spirituale al pari di tanti altri movimenti e filosofie più o meno antiche.

Nella prima tendenza illustrata, che a noi interessa, si rischia anche in forma del tutto inconsapevole e in buona se non buonissima fede, di dimenticarsi dell'origine divina della Chiesa, pensando che qualsiasi problema interno della Chiesa debba essere risolto tramite strategie e scelte umane più o meno forti e per questo con una certa presunta efficacia. È l'errore in cui cadono quei "tradizionalisti" che sperano di vedere nel contesto odierno un papa alla "S. Pio V" combattivo contro le eresie, capace di scelte forti e autoritarie, che pur nella loro bontà oggi non porterebbero risultati, ma anzi rischierebbero di creare strappi e difficoltà peggiori di quelli attualmente in essere. Bisogna infatti tenere presente che i contesti storici cambiano, e quello che era auspicabile e fruttuoso alla fine del 1500, con grande probabilità oggi non sarebbe altrettanto fruttuoso. L'influenza del papa nel contesto sociale medioevale è drasticamente mutato rispetto all'influenza che il papa può avere oggi. Pensiamo ad esempio alla pena della scomunica, che nel contesto di uno "Stato della Chiesa" che abbracciava territori ampi e includeva ogni contesto sociale, aveva delle implicazioni gravissime sulla vita di colui che veniva condannato. Oggi non è più così; uno scomunicato viene solo escluso dalla vita della comunione ecclesiale, ma non viene estromesso dalla vita dello stato, rimanendo perfettamente inserito in un contesto sociale e a seconda del contesto, addirittura esalta chi è stato censurato con tale pena.


È del tutto evidente che la crisi della Chiesa che oggi viviamo è immutata anche dopo l'elezione di Leone XIV. Non è certamente una mozzetta rossa o il ritorno al palazzo apostolico che sanciscono un ritorno all'ortodossia della fede, ma ben altro.

Se consideriamo la Chiesa per quello che realmente è, ovvero un'opera divina, dobbiamo mettere in atto quegli strumenti soprannaturali che abbiamo a disposizione: la preghiera di intercessione, la preghiera per chiedere la protezione divina della Chiesa, e perché no, domandare anche una straordinaria effusione di Spirito Santo sul Santo Padre appena eletto. Quella cauta speranza che molti stanno dimostrando non è mossa esclusivamente dal fervore di vedere il papa vestito con mozzetta e stola pontificale, forse questo aiuta a ridare dignità alla figura del pontefice, ma non è questo il centro di questa speranza.

La speranza cristiana si fonda sulla certezza che la Chiesa non è di papa Leone come non lo era di papa Francesco, ma è di Cristo. Gridare come forsennati che papa Leone XIV non è diverso dal suo predecessore e con questo soffocare ogni briciolo di speranza lo trovo non solo contro lo spirito cristiano, ma proprio contro Cristo stesso, e contro la promessa che lui ci ha fatto, ovvero che "le porte degl'inferi non prevarranno contro di essa"(Mt.16,18).

Che papa Leone parli di Concilio, di sinodalità, di ponti da costruire, di fratellanza universale, non deve portarci a perdere la speranza, ma nello stesso tempo ci ricorda che la crisi non è finita e che oltre a dover continuare a lavorare e pregare, c'è ancora tanto da soffrire e offrire.


Fra le tante cose in continuità con Francesco rischiamo di non vedere le molte cose in discontinuità che dovrebbero alimentare la speranza. In un video del 2023 (QUI) il card. Prevost sottolineava come non sempre era d'accordo con papa Francesco, e per questo era convinto che Bergoglio non lo avrebbe mai fatto vescovo. Papa Leone nell'omelia di presa di possesso della cattedrale di S. Giovanni in Laterano ha ricordato che "la comunione  si crea in ginocchio"[1]. Non mi sembra assolutamente qualcosa da sottovalutare. Nel discorso pronunciato in occasione del Giubileo delle Chiese orientali ha dato degli elementi importanti per capire la sua visione della liturgia[2]. In merito a questa presunta discontinuità è interessante l'analisi che ha fatto il banchiere Ettore Gotti Tedeschi intervenendo sul canale YouTube "Fede & Cultura Universitas"(QUI il link del video). L'ex presidente dello IOR ha evidenziato delle profonde differenze con il pontificato di Francesco che non si fondano su caratteri esteriori, ma su dichiarazioni spesso diametralmente opposte a quelle di papa Francesco. In Particolare il banchiere ha sottolineato come papa Francesco non aveva un concetto chiaro di "dottrina sociale della Chiesa", e questo come conseguenza di una non chiara definizione di "valori non negoziabili", espressione che come detto dallo stesso Francesco, stentava a comprendere. Gotti Tedeschi evidenzia come la dottrina sociale della Chiesa e la sua missionarietà, si fondano su dei valori assoluti che non possono essere reinterpretati in un contesto sociale più o meno mutato, perché altrimenti perderebbero la loro assolutezza. La difesa della vita ad esempio non cambia con il cambiare del "sentire comune". Se non ho valori assoluti da difendere, dice il banchiere, non ho una dottrina sociale da proporre. Inoltre il concetto di missionarietà di Francesco, non era fondato sulla necessità di portare Cristo al prossimo, emblematica in questo senso è l'enciclica "Fratelli tutti" che uccide le missioni riducendole ad un assistenzialismo vuoto di verità evangelica in favore di una fratellanza fondata su qualcosa di indefinito e per questo instabile. Del resto, sottolinea Gotti Tedeschi, papa Francesco considerava il proselitismo una "solenne sciocchezza" confondendo la missionarietà con l'imposizione forzosa della fede cristiana.

Papa Leone invece, dice l'ex presidente dello IOR, ha dimostrato di avere innanzitutto un concetto cristocentrico del dialogo interreligioso e perciò della vocazione missionaria della Chiesa, il motto scelto "In Illo uno unum" (nell'unico Cristo siamo uno) sottolinea questo cristocentrismo che è alla base dell'unità. Anche la mariologia di Leone appare ben diversa da quella di Francesco per il quale Maria era ridotta a semplice "discepola". Questa mariologia così impoverita da Francesco, secondo Gotti Tedeschi, ha portato al commissariamento e alla soppressione di numerosi istituti tacciati di essere "troppo mariani".

L'interessante intervento di Ettore Gotti Tedeschi mette in luce i numerosi punti di rottura con Francesco e analizza numerosi altri aspetti, ma questi mi sembrano particolarmente interessanti per la nostra riflessione.

Dal mio punto di vista preferisco usare cautela nel gridare ai quattro venti un cambiamento radicale all'orizzonte, ma questo non toglie che ci sono degli elementi su cui fondare una buona e giustificata speranza, che non significa credere che la crisi della Chiesa sia terminata o abbia iniziato ad attenuarsi.

Credo in tutta onestà che non serve fare i cristiani "piagnoni" servono i cristiani con i calli alle ginocchia che non stiano a guardare sul sito vaticano le nomine più o meno corrispondenti ai propri gusti o alle proprie idee, ma che sappiano guidare le nomine e le scelte del papa con i propri sacrifici e le proprie preghiere. Del resto, al contrario di Francesco, questo papa sta dando dei segni positivi che quantomeno ci spronano a credere ancora che la Chiesa sia guidata da Cristo.

Non possiamo fermarci a lamentarci e credere che ormai non avremo mai un papa che risollevi la Chiesa da questa crisi così devastante in cui si trova. Abbiamo un papa che se aiutato potrebbe iniziare a lavorare per porre le basi del cambiamento, che diciamocelo, non può avvenire da un giorno all'altro.

Devo pensare che queste persone che vivono nello sconforto siano sedevacantiste? Devo credere che queste persone vivano un cristianesimo da intellettuale da YouTube? Devo pensare che queste persone che si lagnano per ogni trave nell'occhio del papa non vedano le sequoie nei propri occhi?

Per favore, se volete il bene della Chiesa e delle anime lamentatevi di meno e pregate di più... ci rivedremo (forse) dall'ortopedico a curare le ginocchia scassate dalla preghiera.

don Bastiano Del Grillo 


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[1] Cfr. OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIVBasilica di San Giovanni in Laterano, 25 maggio 2025

[2] UDIENZA AI PARTECIPANTI AL GIUBILEO DELLE CHIESE ORIENTALI, Aula Paolo VI, 14 maggio 2025

Le economie poco economiche di papa Francesco



Successivamente all'elezione di papa Francesco in molti, me compreso, hanno subito evidenziato come la scelta di Francesco di vivere a S. Marta recava un danno consistente in termini economici alle casse vaticane. Al tempo ricordo che molti ci tacciavano per complottisti, nemici del papa o gente che sparava fango gratuitamente sul Santo Padre.

Ora che papa Francesco è morto stanno venendo a galla tutte quelle cose ovvie che però nessuno vedeva, o preferiva non vedere, ma che erano sotto gli occhi di tutti, ovvero che papa Francesco più che essere povero usava i soldi per apparire povero. 

Nelle scorse settimane, diverse testate giornalistiche, fra cui "Libero Quotidiano", "HuffingtonPost", "Corriere Della Sera" solo per citarne alcune, hanno pubblicato diversi articoli nei quali si fanno notare gli enormi buchi di bilancio del vaticano, buchi che ammonterebbero a circa 70/80 milioni di euro. Con grande sorpresa (per loro e non per noi), una voce che ha destato l'attenzione riguardava proprio le spese relative alla gestione di S. Marta e di tutto l'"Amba Aradam" intorno alla residenza di papa Francesco (garanzia della sicurezza del pontefice, lavori di adeguamento, impossibilità di utilizzare il secondo piano per gli ospiti di passaggio ecc.). Quello che doveva essere un albergo si è trasformato in un sistema mangiasoldi il cui motore era proprio il "papa dei poveri e dei bisognosi".

Il rifiuto da parte di papa Francesco di vivere al palazzo apostolico cosi come evidenziato dal sito "infovaticana.com" riprendendo a sua volta un articolo de "IlTempo.it" ha portato ad un aumento vertiginoso delle spese papali (fra costi e perdite) stimate intorno a 200.000€ al mese per un totale stimato di poco meno di 30 milioni di euro in 13 anni. La residenza di S. Marta infatti ha necessitato di un aumento di numero di gendarmi e guardie svizzere per il servizio di sicurezza, adeguamento degli spazi destinati al pontefice con conseguente ristrutturazione completa per realizzare una sala di rappresentanza, una cucina, uno studio sufficientemente attrezzato ecc. Tutto questo ha portato ad occupare l'intero secondo piano della struttura alberghiera voluta da Giovanni Paolo II, e questo con un'altra conseguenza: l'impossibilità di destinare le stanze ad ospiti di passaggio con la conseguente perdita di introiti dovuti al pagamento dell'alloggio.

Secondo alcune notizie frammentarie non confermate, quando Benedetto XVI si dimise nel 2013, lasciò un debito stimato di circa 30 milioni di euro, com'è possibile allora che la "spendig review" di papa Francesco ha ottenuto l'effetto contrario? In realtà è una concatenazione di cause che ha portato a questo enorme buco, alcune già accennate fra cui il calo vertiginoso delle entrate dell'"obolo di S. Pietro".

Il capriccio di papa Francesco di vivere a S. Marta ha certamente avuto degli effetti positivi in termini di "consenso mediatico", ora mi domando: ma le persone ingannate da questa "politica della povertà" ora che sono informate degli sprechi del "papa povero" o meglio del "papa pauperista", saranno ancora in grado di dire: "ma quanto è stato bravo e umile papa Francesco che ha rifiutato il lusso?" Con quale faccia tosta continueranno a dire che era meglio Francesco rispetto a Benedetto che invece utilizzava l'oro addosso? E già perché qui non si è ancora parlato delle finanze legate alla sagrestia vaticana che ha visto buttati al macero i sontuosi e storici paramenti della basilica per fare spazio gli stracci apparentemente poveri ma costosi confezionati ex novo per la volontà pauperista di Francesco.

Come se non bastasse fonti interne al vaticano hanno fatto emergere anche come papa Bergoglio si sia rifiutato di autorizzare qualsiasi lavoro di manutenzione all'appartamento del palazzo apostolico, con conseguenze che i giornali hanno portato alla ribalta: infiltrazioni d'acqua, muffe, intonaci e lastroni di marmo caduti o in procinto di cadere ecc. Un vero e proprio disastro che evidenzia un disprezzo dei beni altrui di cui lui era amministratore e non padrone assoluto.

Cari figli miei, se una volta si diceva che non tutto quel che luccica è oro, oggi mi viene da dire che non tutto quello che è visivamente povero è realmente economico. Si racconta che papa Pio XII sotto la sua veste talare aveva le camice consunte e rattoppate dalle suore, e come lui tanti altri papi. Ma al contrario, quando lo stesso papa doveva uscire per le celebrazioni pubbliche, cosciente del suo ruolo di vicario di Cristo in terra, sembrava la "Regina di Saba", perché un conto è fingersi povero e un conto è avere uno stile di vita povero che non intacchi il prestigio del ruolo che si ricopre, sono due cose molto diverse. Quando S. Pio X ha sistemato e modernizzato l'appartamento al palazzo apostolico, lo aveva fatto proprio per dare al pontefice un luogo stabile, sicuro, accogliente, dignitoso e funzionale dove esercitare il suo ministero, ma soprattutto un luogo che non fosse economicamente esoso per le casse vaticane. L'arredamento antico e prezioso è frutto del tempo e non di acquisti indiscriminati presso avidi antiquari, un po' come accadeva spesso nelle case delle nostre nonne, dove i tanti anni trascorsi in quel luogo avevano permesso di accumulare pezzi di arredamento importanti.

Ciò che lascia l'amaro in bocca in questa vicenda è che queste "politiche di povertà" di papa Francesco erano già state denunciate da molti di noi nella loro esosità e considerate solo di facciata, cosa che adesso guarda caso, sta venendo fuori. La differenza sta nel fatto che chi denunciava questo atteggiamento ipocrita, veniva bannato come un nemico complottista del povero papa Francesco. Nemmeno avete idea quanto mi scoccia dire "avevo ragione io", ma in questo caso non posso non dirlo, e siamo solo all'inizio!

Chissà quante altre cose verranno a galla, e chissà quanti si sentiranno traditi da questo papa che loro ritenevano il migliore che ci poteva essere. Cari figli miei, aprite gli occhi!

Con l'arrivo di papa Leone finalmente il pontefice tornerà ad abitare al palazzo apostolico, speriamo sia uno dei primi segni di un ritorno ad una normalità, almeno formale per ora, e di una inversione di tendenza rispetto ad un pontificato che ha portato un disastro oltre che spirituale anche materiale.


don Bastiano Del Grillo


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giovedì 22 maggio 2025

Il papato e la politica; quando il giornalismo è fallace.


Si sente dire spesso che la Chiesa con i suoi papi ha sempre fatto politica. È vero non si può negare, ma nemmeno la trovo una cosa tanto negativa. Quello che oltremodo trovo divertente è il fatto di valutare l'elezione di un papa e il suo pontificato con le categorie politiche.

Questa riflessione, che già avevo fatto per conto mio, mi è stata sorprendentemente confermata da un personaggio politico appartenente ad uno schieramento molto lontano, e spesso anche in antitesi, alla Chiesa cattolica.

Nella trasmissione televisiva di Giovanni Floris "DiMartedì" andata in onda nei giorni scorsi, è stato ospite Fausto Bertinotti ex segretario del partito comunista, che ha detto esattamente quello su cui riflettevo anch'io, ecco le sue parole:

«secondo me la politica troppe volte trascura l'elemento spirituale, nel senso che tende a leggere la dinamica interna alla religione, in questo caso al cattolicesimo, secondo i canoni della politica, cioè quelli che lei conosce, e quindi applica [i concetti] "destra-sinistra", "conservatore-reazionario", che sono delle categorie non solo grossolane, [ma] fuorvianti, perché non consentono di andare alla radice del messaggio cristiano di cui la Chiesa è così fortemente portatrice.»


Il senso di queste parole, come dice lo stesso Bertinotti più avanti nell'intervista, è riferito alla decadenza e alla disgregazione della società e della politica, contrapposta alla solidità e alla potenza della Chiesa ad essere, o quantomeno ad apparire come "comunità" che unisce sotto un'unica bandiera (la fede) e aggrega schiere numerose di fedeli. A mio modesto parere ritengo questo discorso con i dovuti distinguo, perfettamente calzante.

Valutare ciò che accade nella Chiesa con i canoni o le procedure tipiche della politica depaupera la Chiesa e il messaggio stesso del vangelo di cui essa è promotrice. Questa operazione adombra la missione della Chiesa fino a farla sparire dietro le concezioni umane e i giochi di potere. E' vero che in tempi passati la Chiesa soprattutto in Europa, aveva un ruolo fortemente politico legato a giochi di potere, ma lo scacchiere geopolitico e le dinamiche internazionali dei tempi passati erano molto diverse rispetto ad oggi. Lo stato della Chiesa si muoveva in uno scenario che oggi è mutato, e il suo regno era spesso al pari di tanti altri regni, ma questo non deve influenzare la nostra visione su ciò che è oggi la Chiesa. Tutto questo appartiene ormai ai libri di storia e pur influenzando non identifica in tutto il ruolo profondo della Chiesa del terzo millennio.

Il fatto di aver eletto un papa statunitense viene riletto da molti giornalisti come un'operazione politica di contrasto nei confronti dell'attuale presidente USA Donald Trump. Ma la medesima cosa si diceva, con grandi similitudini, nei confronti di Giovanni Paolo II in relazione al comunismo, o di Francesco nei confronti delle politiche migratorie. Cosa si sarebbe detto se dalla loggia centrale fosse uscito il card. Pizzaballa? Probabilmente che era stato eletto il patriarca latino di Gerusalemme per dare un segno forte nel conflitto israelo-palestinese.

Ma forse questa volta la Chiesa ha pensato un po' più a sé stessa, scegliendo un nome che come al solito e come era prevedibile, non era stato preso in seria considerazione quasi da nessuno. Il fatto che sia statunitense alla fin dei conti può dire tutto o niente.

La Chiesa non sceglie in maniera democratica il suo capo, tantomeno lo sceglie secondo gli schieramenti destra-sinistra di cui giustamente parla Bertinotti. La Chiesa oltremodo non può essere divisa così alla spicciola in progressisti e conservatori perché, pur entrando nelle questioni politiche e sociali, non è affatto guidata da ideologie di stampo politico, semmai è guidata da ideologie teologiche che a volte possono essere rilette come ideologie politiche, ma che di politico hanno poco o nulla. 


Emblematici in questo discorso furono le accuse mosse da una certa politica fra gli anni '90 e i gli anni 2000 nei confronti di Giovanni Paolo II, del card. Camillo Ruini e successivamente anche di Benedetto XVI in merito al caso del fine vita, dell'aborto e dell'approvazione dei "PACS" e dei "DICO" per il riconoscimento delle coppie omosessuali. Si accusava la Chiesa di far politica, quando invece non faceva altro che intervenire su argomenti che coinvolgono la morale cattolica di cui il papa e i suoi collaboratori sono chiamati per loro natura ad esserne difensori. Se difendere la vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale significa far politica, allora si, la Chiesa fa politica, se difendere la famiglia naturale significa far politica, allora si, la Chiesa fa politica, se difendere la dignità umana o i diritti dei lavoratori significa far politica, allora si, la Chiesa fa politica.


Cercare però di leggere le dinamiche interne della Chiesa e le sue relative scelte, in chiave sempre e solo politica rischia di portare fuori strada, e questo è dimostrato dal modo con cui i media hanno gestito la comunicazione intorno al conclave. Quasi la totalità dei giornalisti hanno fatto pronostici sui possibili papabili dando addirittura ipotetiche percentuali. Alcune testate giornalistiche hanno perfino dato dei titoli del tipo: "parolin sale, zuppi scende" come se ci fossero dei sondaggi fra il popolo elettore. Peccato però che a questi "giornalai" sfugge un particolare di non poco conto, ovvero che non è il popolo a scegliere il proprio capo spirituale. Un atteggiamento questo che fa ridere i polli e che tradisce la volontà di ricevere solo facili "click" sui loro titoli.

Il Vaticano è si uno stato, ma non si può ridurre l'opera di tutta la Chiesa al governo del singolo stato Vaticano, perché la Chiesa è tutt'altro, è un opera spirituale, ha delle logiche spirituali che si possono condividere o no, ma soprattutto la sua influenza non è circoscritta a dei confini nazionali. Se non consideriamo questo aspetto non si comprenderà mai il potere della Chiesa, che trascende il potere politico. Tale potere infatti rimarrebbe anche nel caso in cui (ed è già avvenuto) la Chiesa venisse privata totalmente del potere temporale come avvenuto dopo la presa di Roma del 1870. In quel periodo la Chiesa aveva perduto il potere temporale, ma non certo quello spirituale che continuava ad esercitare pienamente sulle coscienze dei fedeli cattolici.

La Chiesa va guardata da un'altra prospettiva, che è quella soprannaturale, come organo non solo di un governo inserito nello scacchiere politico internazionale, ma come promotrice di valori religiosi prima ancora che culturali. Valori che hanno dimostrato la loro efficacia sia in ambito sociale che in ambito politico, valori che spesso sono stati accolti e inseriti nei piani politici degli stati.

La Chiesa è questo: un faro nella notte che irradia una luce non propria ma divina, che non può essere spenta nemmeno dagli scandali provenienti dai suoi stessi membri. A questo proposito sant'Ambrogio definiva la Chiesa "casta meretrix" ovvero una casta prostituta, o come interpretano altri "santa e meretrice", ma questo non significa che il suo messaggio non sia valido, al contrario, è valido proprio perché i suoi primi destinatari sono coloro che ne fanno parte in quanto battezzati.

Campanile di S. Paolo fuori le mura
ispirato al faro del porto antico di Claudio ad Ostia.
L'idea dell'architetto Luigi Poletti era di associarlo
alla figura di S. Paolo definito "luce delle genti". 


Faro del porto antico di Claudio ad Ostia

Quando la Chiesa parla di difesa della vita, di diritti dei lavoratori, di giustizia o di verità, lo fa in riferimento al vangelo, e non ad una vaga ideologia umana o politica, e se questo è interpretato come un'ingerenza della Chiesa nella vita politica di uno stato, significa non conoscere o non aver capito nulla del vangelo di Cristo.

In conclusione sembra evidente che pur trattando temi di carattere politico, il modo di agire della Chiesa non può essere in alcun modo interpretato e circoscritto all'interno dei canoni della politica, perché questo come ampiamente dimostrato, porta fuori strada e pone in una condizione nella quale ci si inganna. In un epoca e in un occidente in cui la spiritualità è stata accantonata, a favore di un fuorviante culto dell'uomo, sembra strano pensare ad un'organizzazione che non sia solo umana e politica. Recuperare la visione di Chiesa come riferimento spirituale aiuterebbe a non cadere in errori di valutazione così grossolani, oltre che a riscoprire la vita interiore come fondamento su cui costruire una società di vera pace e concordia.


don Bastiano del Grillo


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martedì 20 maggio 2025

Da un papa di "transizione" ad un papa di "pacificazione" prime considerazioni su Leone XIV


Questo periodo è stato segnato dell'evento del conclave, che più di qualsiasi altro evento catalizza l'attenzione sia dei fedeli cattolici che di chi non crede. In questi giorni ne abbiamo sentite tante, da chi osanna questo papa a chi lo inizia subito ad attaccare.

Fino ad ora ho voluto esimermi dal formulare una qualsivoglia analisi, il motivo risiede soprattutto nella volontà di non farmi trascinare dall'emozione e dai sentimenti, ma di avere degli elementi concreti su cui costruire un'opinione più realistica possibile e meno sganciata da aspettative personali vaghe.

Ad oltre 10 giorni dall'elezione del card. Prevost al soglio pontificio, sento di avere quegli elementi sufficienti per formulare una bozza di opinione riguardo a questo pontificato che si sta aprendo, pur sottolineando che al momento tutto può variare e prendere ancora direzioni e pieghe inaspettate, infatti la frase che forse ho pronunciato più volte in questi giorni è: "aspettiamo, vedremo quello che succederà".


Il primo impatto

Appare piuttosto chiaro ed evidente che non ci si può basare sulla prima impressione che il nuovo papa ha dato di se uscendo dalla loggia centrale subito dopo l'"habemus papam", come detto prima, l'emozione non permette di avere un'idea obiettiva, tuttavia alcuni elementi esteriori parlano da soli, pur nella consapevolezza che questi elementi possono dire tutto o nulla. Vedere papa Leone affacciarsi dalla loggia con la mozzetta e la stola pontificale ha certamente ridato agl'occhi di molti fedeli l'impressione di trovarsi davanti ad "un papa", e non semplicemente ad un uomo con una talare bianca come successe con Francesco. Con questo non intendo dire che Francesco non fosse papa, ma se è vero che l'abito non fa il monaco è pur vero che il monaco lo riconosco dall'abito.

Dopo l'esperienza "franceschiana" non era scontato vedere il papa affacciarsi alla loggia con la mozzetta e la stola pontificale, in altre parole diremmo che quello che prima era del tutto normale oggi appare quasi una "rivoluzione" o un "tornare indietro". Per questo motivo ne mi entusiasma vedere il papa affacciarsi nuovamente vestito con mozzetta e stola, ma neanche mi lascia indifferente, semplicemente concludo dicendo a me stesso che Francesco non c'é più e ora c'è Leone. L'aver scelto di affacciarsi alla loggia vestito "da papa" non significa che abbiamo un papa tradizionalista ma nemmeno un progressista di quelli sfrenati.

Le prime parole che il pontefice ha pronunciato hanno colpito soprattutto perché non sono state parole vaghe pronunciate a braccio, gesto mai fatto dai suoi predecessori, il papa infatti ha scelto di scriversi quantomeno una bozza di appunti sulla quale basarsi per salutare i fedeli.


Questo gesto lo ritengo molto significativo, e lasciatemelo dire, anche molto rispettoso nei confronti dei fedeli. Il papa secondo il mio pensiero, non ha voluto lasciarsi prendere e incatenare dall'emozione, ma ha voluto che quel momento fosse come un primo atto di magistero, una sorta di programma sommario di quello che intende fare, ovvero pensare e riflettere su ogni parola del suo ministero, per evitare (a mio modesto parere) qualsivoglia confusione o mala interpretazione delle sue parole, d'altro canto l'esperienza confusionaria provocata dal suo predecessore deve necessariamente essere archiviata se non addirittura rettificata nel profondo. Con questo atto (sempre secondo la mia interpretazione) papa Leone ha voluto dirci "con me non ci sarà spazio all'improvvisazione".

Passando invece al contenuto del suo discorso, il ragionamento si fa più complesso. Il papa ha esordito con le parole di Gesù Cristo dopo la risurrezione: "la pace sia con voi". un saluto molto diverso dal "buonasera" di Bergoglio. Un saluto evangelico ma anche molto programmatico e se vogliamo per nulla scontato. Nel contesto internazionale drammatico che il mondo sta vivendo, l'unico augurio sensato che ci possa essere è quello della pace, ma non una pace qualsiasi, ma quella del Cristo risorto! Tuttavia la pace fra i popoli non è l'unica pace di cui il mondo ha bisogno, appare sempre più chiara l'intenzione emersa durante le congregazioni cardinalizie di realizzare una riappacificazione del tutto necessaria all'interno della Chiesa. Il pontificato di papa Francesco, è innegabile, ha lasciato in eredità una chiesa spaccata, divisa, lacerata al suo interno fra progressisti affamati di novità e tradizionalisti perseguitati come eretici. Appare quindi necessario cercare di ricucire questi strappi e rinsaldare le fratture interne della Chiesa, per poi procedere ad un cammino di verità autentico. Non sappiamo ancora in che direzione il papa vorrà posizionare il timone della barca di Pietro, ma appare chiaro che l'intenzione del collegio cardinalizio sia stato quello di scegliere una figura che plachi gli animi, vedremo se sarà così.


Il pontefice ha più volte ribadito l'importanza della centralità del Cristo-Dio, non solo nel primo discorso dopo l'elezione, ma anche in altri discorsi, primo fra tutti quello nella Messa nella cappella sistina insieme ai cardinali, nella quale ha tracciato delle sommarie linee guida sulle quali impostare il cammino della Chiesa, Linee che sembrano scontate, ma che dopo il pontificato disastroso di Francesco non appaiono più cosi scontate. L'importanza di riconoscere Gesù non solo come vero uomo, ma soprattutto come unico e vero Dio sotto il quale possiamo trovare salvezza, non è per nulla scontato dopo un pontificato distaccato dalla verità soteriologica del Cristo e basato sul sentimentalistico "volemose bbene". Dobbiamo certamente attendere e vedere come questo si realizzerà nel concreto, soprattutto in relazione all'ebraismo e al mondo islamico.

Tornando al discorso dell'elezione, un altro elemento non trascurabile è il richiamo alla costruzione di ponti, ma qui lasciatemi fare una premessa. Purtroppo nell'ultimo pontificato siamo stati abituati a intendere la parola "ponte" con delle accezioni non cattoliche come ad esempio un modo per passare da un'opinione ad un'altra o nell'accezione di "incontro" fine a se stesso. Il termine "ponte" è alla base della parola "pontificato" il papa è per sua natura un "costruttore di ponti", fra Dio e gli uomini. L'uso di questo termine non deve spaventarci perché il papa è chiamato a creare un ponte fra le civiltà cristiane cattoliche e il mondo pagano in cui si trova ad operare. Se non altro dobbiamo augurarci che questo papa abbia bene in mente che i "ponti" che dobbiamo costruire servono per far passare Dio nei cuori di chi è lontano da lui, e non per realizzare "fratellanze" indefinite fondate sul sincretismo religioso o su non si sa bene cosa. Ma date le premesse, e considerando il concetto di missionarietà che emerge dalle sue parole, non sembra che questo papa sia su questa linea "franceschiana". Certo è che il discorso fatto in occasione dei saluti alle rappresentanze di altre religioni presenti il giorno di inizio pontificato lascia l'amaro in bocca. Papa Leone ha ribadito l'intenzione di creare fraternità, di continuare il lavoro di Francesco nel costruire dialoghi di pace ecc. Anche qui dobbiamo attendere, pregare e sperare che pur mantenendo un linguaggio simile a quello del suo predecessore, le intenzioni siano diverse, ribadendo l'assoluta verità della salvezza nel Cristo Uomo-Dio fondamento di ogni vera fratellanza e di ogni pace possibile.

Il richiamo alla sinodalità della Chiesa è un altro punto critico. Senza dubbio il concetto moderno di sinodalità deriva dal Vaticano II, che ha voluto dare seguito al concetto di collegialità voluto dallo stesso concilio. Questo concetto porta in se una sorta di "democratizzazione" della Chiesa che rischia di sminuire, appiattire e soffocare il ruolo di "capo supremo" della Chiesa di cui il papa è investito. Nella Chiesa dei primi secoli, i concili venivano chiamati anche "sinodi", ma alla base c'era sempre in concetto piramidale della Chiesa, nella quale la discussione teologica e spirituale aveva un ruolo fondamentale per la comprensione delle verità di fede. Se è vero che questo papa ha più volte usato il termine "sinodalità", è anche vero che Leone si è più volte dichiarato con il titolo di "vicario di Cristo". I due concetti riletti in relazione fra loro creano un campo ben diverso dal concetto di "sinodalità" inteso da Francesco, che ricordiamolo, non si è mai voluto definire "vicario di Cristo". Se Leone è ben cosciente del suo ruolo di "vicario di Cristo" saprà intendere la sinodalità per quello che dovrebbe essere, ovvero un mezzo consultivo e di ascolto del corpo ecclesiale, ben distante dal ruolo decisionale, democratico e governativo attribuitogli dal suo predecessore. Il richiamo alla frase di sant'Agostino che il papa ha fatto durante il discorso, "con voi sono cristiano, e per voi sono vescovo" fa ben sperare che Leone ha piena coscienza che lui non è semplicemente uno fra tanti, ma è il capo chiamato a governare con l'autorità di Cristo. Sarà così? Anche qui il tempo ci farà scoprire il volto di Leone XIV.


Il "tutti" più volte ripetuto lascia certamente perplessi, in linea teorica non dovrebbe allarmarci più di tanto se lo intendiamo nell'accezione classica e tradizionale. Che la Chiesa sia "cattolica" ovvero universale e rivolta a tutti non è una novità, il problema semmai è che oggi ci hanno abituato ad intendere il termine "tutti" in un'accezione talmente allargata fino al punto di dare, ad esempio all'accoglienza indiscriminata un valore dogmatico. A tal proposito basti pensare a tutto il dibattito sulla traduzione del "pro multis" della S. Messa che arbitrariamente diventa un "per tutti". La Chiesa accoglie tutti certamente, dialoga con tutti, ma non per questo si deve pretendere che tutti ne facciano parte. Resta ovvio che se il messaggio è destinato a tutti, non si può dire lo stesso per la salvezza, che è destinata solo a quei "molti" che accolgono il messaggio di salvezza e si sottomettono alla verità rivelata dal Cristo. Ribadire le verità della fede non significa essere discriminanti o non essere accoglienti, significa indicare a tutti la strada della salvezza, resta a noi la scelta se seguirla o meno. Anche qui vedremo quale sarà il modo e quale sarà il significato che Leone vorrà dare a questo termine.


Un nome un programma?

Il card. Prevost ha voluto chiamarsi "Leone", il che fa pensare ad un infinità di cose. Lui stesso ha detto di essersi ispirato a Leone XIII, un papa che ha scritto delle encicliche importantissime, che ha regnato in un periodo particolare nel quale non gli fu possibile esercitare il così detto "potere temporale". Leone XIII infatti si trovò a guidare la Chiesa nel periodo compreso fra la presa di Roma e i patti lateranensi, quindi di fatto non è mai stato capo di stato ma solo capo della Chiesa come istituzione religiosa. Tuttavia Leone XIII è stato un papa di grande vicinanza ai temi sociali che si condensarono dell'enciclica "Rerum Novarum", ma anche un papa di grande spiritualità. A lui dobbiamo la composizione dell'"Esorcismo Minore" dal quale scaturisce la preghiera a S. Michele che egli stesso ha voluto che si recitasse al termine di ogni S. Messa letta. Sappiamo come questa decisione avvenne a seguito di una famosa visione che il pontefice ebbe al termine della celebrazione della S. Messa. Visione nella quale vedeva la Chiesa attaccata dai demoni dal suo interno.

Alcune coincidenze devono necessariamente essere prese in considerazione e rilette come "segni" dall'alto: Leone XIV è stato eletto l'8 maggio, nel giorno in cui la Chiesa ricorda l'apparizione di S. Michele e la Madonna di Pompei. In un tempo in cui la gente va alla ricerca spasmodica di "messaggi divini" perché trascurare queste coincidenze? Questo papa avrebbe potuto chiamarsi Francesco II, piuttosto che Giovanni Paolo III, ma se il nome scelto identifica un "programma di pontificato" non si può rimanere indifferenti davanti a questa scelta. Anche qui la scelta può significare tanto ma può non dire nulla.


Liturgia e tradizione

Alcune indiscrezioni ci dicono che papa Prevost sia un grande estimatore della Messa Tridentina, e che il papa l'abbia celebrata più volte in privato. Quanto sia vera questa indiscrezione non lo sappiamo, ma il discorso pronunciato in occasione dell'udienza alle Chiese cattoliche orientali ci fa pensare che il suo approccio alle tradizioni liturgiche antiche sia piuttosto favorevole. Senza entrare troppo nell'analisi del testo in questione, ritengo importante sottolineare come il papa abbia evidenziato la necessità di "sensibilizzare i latini" alla ricchezza delle liturgie orientali, e perché non iniziare a farlo attraverso la conoscenza della liturgia romana antica? Leone ha affermato che "abbiamo bisogno di recuperare il senso del mistero" e perché non iniziare a farlo partendo dalla celebrazione della Messa tridentina?

C'è una frase che più di tutte mi ha colpito, e la riporto per intero:

"[...] quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali! Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista."[1]

Questa parte del discorso è incredibilmente applicabile alla liturgia Romana tradizionale, nella quale emerge particolarmente il "primato di Dio, il valore della mistagogia, dell'intercessione incessante, della penitenza, del digiuno del pianto dei propri peccati e dell'intera umanità." Queste tipicità che il papa ritrova nelle liturgie orientali sono tipiche anche nella liturgia tridentina, che purtroppo però ha subito quello che il papa spera che non accada nell'oriente. La Chiesa latina infatti ha annacquato e corrotto la propria tradizione liturgica per seguire una presunta praticità e comodità, spinta soprattutto da uno spirito consumistico e utilitaristico che potremmo identificare nel famigerato "spirito del concilio".

Potrà essere tutto questo un preludio ad un ritorno stabile, duraturo e fortemente motivato alla liturgia tradizionale? E' ancora presto per dirlo, ma di certo ci sono dei buonissimi presupposti perché questo possa avvenire. Dobbiamo solo sperare e pregare!


Considerazioni e conclusioni

Concludendo questo breve esame che nasce da una prima e superficiale analisi delle parole e dei gesti di papa Leone XIV, mi sento di dover dire qualcosa che ritengo molto più importante di quanto detto finora.

In questi giorni ho letto molti articoli su questi primissimi passi di papa Leone, la cosa che spesso mi ha irritato è vedere due atteggiamenti uguali ma opposti; da una parte i progressisti più "avantisti", convinti che questo papa possa mettere da parte l'opera demolitrice di Francesco e frenare le loro smisurate smanie di riforma, oltre che a temere lo spettro del ritorno ad un passato troppo legato ai dogmatismi, e dall'altra quei  "tradizionalisti benpensanti da salotto" che che hanno iniziato a lamentarsi di questo papa come un progressista convinto perché parla di sinodalità, di "fratelli tutti" di continuità con il concilio Vaticano II ecc.

Partendo dal presupposto che il tradizionalismo di cui parliamo è una categoria nata dopo il Vaticano II, e che la Tradizione in senso stretto è un concetto nobile legato al concetto stesso di "fede cattolica", personalmente non posso definirmi ne un progressista, ma nemmeno un tradizionalista di quelli legati ad una Chiesa che non esiste più e che non tornerà mai in essere. Se proprio dovessi catalogarmi mi definirei un cattolico legato alla tradizione vera, quella che ha a cuore il bene delle anime, quella tradizione così come intesa da mons. Lefebvre, ovvero quell'insieme di tesori spirituali, liturgici e teologici necessari alla conservazione e alla diffusione della fede cattolica[2]. Chiarito questo concetto di "Tradizione" ritengo di dover dare alla realtà un valore oggettivo. Non è pensabile che un papa arrivi e dall'oggi al domani possa con un colpo di spugna eliminare tutto quello che è stato costruito in bene o in male nell'arco di sessant'anni. Il collegio cardinalizio  chiamato ad eleggere oggi il successore di Pietro, e in generale tutto il corpo episcopale della Chiesa di oggi, si è formato nel "mito del concilio" e non si poteva pretendere che da quel cilindro magico della Sistina potesse uscire uno che buttasse all'aria tutto quello su cui questi signori hanno costruito la loro stessa esistenza.

Lasciamo da parte i sogni e proviamo a ragionare ad occhi aperti. Molti di questi uomini vengono dal concilio, lo hanno vissuto, lo hanno plasmato, o quantomeno sono figli di quell'epoca. Gli anni immediatamente successivi al concilio sono per loro come un meraviglioso pavimento cosmatesco creato dalle loro stesse mani, pensare che uno di loro lo smantelli significa come chiedere ad uno di loro di demolire il "luogo" su cui hanno mosso i loro passi fin dai primi anni del loro sacerdozio. Questi uomini non hanno la capacità di vedere in maniera obbiettiva il disastro arrecato alla Chiesa dal concilio, e anche se sono pienamente consapevoli di trovarsi davanti ad un evidente decadimento della Chiesa, non lo attribuiscono affatto a quell'evento a cui sono legati indissolubilmente anche da un aspetto emozionale e sentimentale. Per loro il concilio vaticano II "è la Chiesa".

Se Leone cita papa Francesco, il concilio, la sinodalità e tutte queste cose moderne e moderniste lo fa non solo perché gli e dovuto, ma perché è figlio di quel modo di intendere la Chiesa, la teologia, la spiritualità e il papato. Forse questo è un male, ma è una realtà che a denti stretti dobbiamo accettare. 

Un colpo di spugna oggi non porterebbe ad alcun risultato se non quello di creare ulteriori spaccature, confusioni e scismi deleteri per la salute delle anime. Non dimentichiamoci che gli scismi, oltre ai loro attori principali, hanno sempre portato molte anime verso la confusione, l'eresia e addirittura all'apostasia. Pensare oggi ad un papa che agisca con il pugno duro, significa non aver a cuore il bene delle anime meno edotte e dottrinalmente più fragili che frequentano, spesso inconsapevolmente, le nostre parrocchie, e considerando le enormi lacune del popolo santo di Dio in materia di dottrina e di morale, si rischierebbe di consegnarle alla dannazione eterna. E' questo quello che vogliamo?

Certo, papa Leone XIV con molta probabilità non sarà quel tipo di pontefice che correggerà gli errori moderni, ma senza alcun dubbio non sarà nemmeno quel tipo di papa che ridurrà il papato ad una barzelletta come avvenuto sotto il pontificato di Francesco. Tuttavia dobbiamo avere la speranza che questo pontefice si lasci guidare dallo Spirito Santo, e che riceva delle grazie di stato particolari che lo aiutino a fare scelte che possano porre le basi per un ritorno all'ortodossia della fede.


L'unica cosa che è in nostro potere, e ce ne dimentichiamo troppo spesso, è la preghiera in tutte le sue forme, soprattutto quella di supplica e di intercessione. Ci siamo abituati nostro malgrado, a vedere la Chiesa come una realtà umana, ma non scordiamoci che la Chiesa è di Cristo, ed è una realtà soprannaturale. Cadere nello sconforto di non avere un papa come lo vorremmo noi, equivale a mettersi al posto di Dio e dire che Dio ha abbandonato la sua Chiesa, quella Chiesa a cui Cristo stesso ha assicurato che "le porte degli inferi non prevarranno" (Mt. 16,18).

Probabilmente questo papa ci deluderà su molte cose, e forse non serve aspettare molto, ma potrebbe anche stupirci, aprire porte inaspettate, nominare vescovi o capi di dicastero ricchi si capacità evangeliche e di santità, non possiamo ancora saperlo. E' vero che papa Francesco ci ha gettati nello scoraggiamento, nella sfiducia e nell'angoscia, ma non possiamo continuare a vivere nello sconforto, sforziamoci almeno in questa fase iniziale di questo nuovo pontificato di esercitare la virtù di speranza. Supplichiamo Dio Padre perché guidi questo papa nel suo ministero petrino, che lo accompagni passo passo a ricostruire le basi della Chiesa. Invochiamo l'intercessione dei santi perché ci aiutino a sostenere il pontefice in questo compito così grave, difficile ma meraviglioso di restaurazione della Chiesa, e affidiamolo alla nostra Madre Maria Ss.ma Ausiliatrice perché protegga il Leone dalle iene e dai lupi, affinché schiacciando la testa del drago antico, trionfi il suo cuore immacolato.


don Bastiano Del Grillo


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Riferimenti:

[1] Discorso ai partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali. Aula Paolo VI, Mercoledì 14 maggio 2025.

[2] Cfr. Storica dichiarazione di mons. Marcel Lefebvre, 21 novembre 1974



domenica 11 maggio 2025

Chiesa Cattolica in uscita? Si ma per cessata attività!

Anche se la narrazione generale vuole far credere che la Chiesa Cattolica soprattutto con Francesco, sia in una fase di rinnovamento e di "apertura" in realtà da diversi decenni si assiste ad un processo molto lento ma costante che se meglio analizzato fa pensare ad una Chiesa che è in fase di liquidazione. Per comprendere questo bisogna essere degli osservatori piuttosto arguti e soprattutto saper confrontare ciò che si osserva alla luce di ciò che è avvenuto nel passato per comprendere che la strada imboccata dalla Chiesa è una via piuttosto accidentata e pericolosa che sta portando ad una lenta dissoluzione della Chiesa stessa. Questo processo però ha degli elementi previsti e prevedibili soprattutto da parte di coloro che intenzionalmente, sfruttando spesso l'ignoranza della storia che caratterizza molti fedeli e aimè gran parte del clero, mirano a smantellare a piccoli colpi la struttura di governo della Chiesa. La massoneria in questo ha un ruolo cruciale, perché è noto a molti come questa organizzazione segreta abbia una concezione politica societaria e religiosa molto diversa dalla concezione che ne ha la Chiesa. La gravità consiste nel fatto che, soprattutto nel clero, questo non è compreso, e spesso si fatica a comprendere perché massoneria e Chiesa Cattolica siano due realtà antitetiche e con pensieri apparentemente simili ma profondamente in contrasto fra loro. Questa premessa è necessaria per comprendere che molti mali attuali della Chiesa nascono appunto dal pensiero massonico infiltrato in essa. Questo articolo, pur non volendo analizzare il fenomeno della massoneria, non può non tenere conto di questa influenza.


L'accorpamento delle diocesi. Cosa insegna la storia?


Il fenomeno dell'accorpamento delle diocesi sembra ormai non destare nessuna sorpresa, viene considerata una prassi ormai consolidata capace di portare numerosi vantaggi. Questo fenomeno però non dev'essere sottovalutato, perché tutto ciò che riguarda il governo della Chiesa ha uno scopo soprannaturale che è quello della salvezza delle anime, e non meramente pratico, politico, o economico. Certo, anche nella Chiesa spesso si parla di "spendig review", ma questo in realtà è un falso problema, l'accorpamento delle diocesi infatti non porta vantaggi economici se non di carattere alquanto marginale.


Per comprendere la pericolosità di questo processo di accorpamento è sufficiente osservare il modo come la Chiesa si sia diffusa nel mondo; i missionari portavano il primo annuncio del vangelo, si formavano piccole comunità che pian piano si ampliavano, si venivano così a creare le così dette "missioni" dalle quali poi scaturivano altre comunità che si moltiplicavano via via come piccole cellule. Roma inviava in questi luoghi dei "delegati pontifici", che successivamente verranno chiamati "nunzi apostolici". Questi delegati del papa avevano il compito di organizzare e curare l'apostolato in un luogo circoscritto o anche in un intero continente. Il delegato pontificio quindi diventava una sorta di "super vescovo" spesso a capo di territori molto ampi, il suo compito era quello di permettere non solo la diffusione del vangelo, ma anche di organizzare l'apostolato sul territorio, creando dapprima delle diocesi molto vaste, e man mano che scaturivano vocazioni distribuirle in nuove parrocchie appositamente erette per poter capillarizzare il più possibile l'apostolato. Quando ormai le parrocchie iniziavano ad essere tante, il territorio di queste macro diocesi veniva suddiviso in altrettante diocesi più piccole, nominando nuovi vescovi allo scopo di settorializzare il governo e permettere agli stessi di poter governare e assistere meglio le anime.


L'interesse dei pastori, anche se non l'unico, era quello di poter conoscere meglio il territorio e i suoi abitanti, essere pastore di una piccola porzione del gregge per poterlo seguire, ascoltarlo e servirlo più da vicino.


E' chiarissimo quindi l'importanza della creazione di nuove diocesi più piccole con parrocchie al suo interno capaci di garantire l'assistenza spirituale anche delle comunità più sperdute.

Questo processo ha portato la Chiesa cattolica ad essere presente in maniera capillare su tutto il territorio europeo e in tutte quelle realtà extraeuropee dove si è diffuso il cristianesimo. In Italia ad esempio ogni piccolo comune ha almeno una parrocchia, e spesso anche le frazioni più piccole avevano esse stesse una parrocchia o una piccola cappella. l'enorme presenza di edifici sacri che abbiamo in Italia non fa altro che mostrare la capillare presenza della Chiesa nella vita del popolo cristiano.


Già agli inizi del '900 si era iniziato a discutere della riorganizzazione territoriale delle diocesi italiane, ma dalla fine degli anni '70, e poi più massicciamente negli anni '80 del secolo scorso, si è assistiti ad un fenomeno sempre più frequente, quello della riduzione delle diocesi tramite l'unificazione di diocesi vicine, ricorrendo spesso ad una vera e propria soppressione o ad un peggiore smembramento di diocesi più piccole. Uno dei criteri utilizzati era di far corrispondere le diocesi con le regioni o le province in cui si trovavano. C'è da dire che in molti casi era necessario, in quanto molte diocesi erano state erette per semplici privilegi e a volte contavano al loro interno un numero ridicolo di parrocchie. Giusto per portare qualche esempio, la diocesi di Guardialfiera in Molise contava nel suo territorio otto comuni[1], mentre la diocesi suburbicaria di Ostia, che pur avendo una storia e un ordinamento particolare, contava due parrocchie, e addirittura nel 1948 solo una, che corrispondeva alla chiesa cattedrale[2]. Altri esempi potrebbero essere tutte quelle micro diocesi che corrispondevano spesso ad un singolo comune e che avevano la sede vescovile solo per privilegio o per ragioni storiche spesso fantasiose. Un altro caso piuttosto curioso è quello della diocesi di Cassino, che corrispondeva non solo al territorio dell'abbazia, ma anche a tante parrocchie sparse per il centro Italia che però, pur essendo territorialmente in un'altra diocesi, giuridicamente dipendevano dall'abate di Monte Cassino. Ovviamente in questi casi era inevitabile una riorganizzazione ragionevole che prevedesse una soppressione di quelle micro diocesi obiettivamente inutili e un riassetto del governo che potesse veramente essere utile per un buon apostolato.


Bisogna aggiungere che in molti casi le diocesi si erano moltiplicate anche in virtù del fatto che gli spostamenti e i collegamenti del passato erano spesso difficoltosi, e non permettevano ai vescovi di raggiungere agilmente molti luoghi a loro soggetti, ma con l'avvento dei mezzi di trasporto e la costruzione di infrastrutture moderne sono venuti meno quegli impedimenti di carattere strutturale che rendevano complicato lo svolgimento del ministero episcopale.


La situazione oggi


Alla luce di quanto detto finora, in alcuni casi appariva giustificato e magari anche necessario un riassetto dei territori diocesani, ma la situazione odierna giustifica ancora questo riassetto?


A mio modesto parere se era necessario intervenire nella revisione delle diocesi questo non significa dover a tutti i costi continuare a farlo all'infinito. In questo panorama di revisionismo, volendo utilizzare un termine caro a papa Francesco, stiamo smantellando quel sistema di prossimità che è una delle basi dell'apostolato delle diocesi. Ultimamente si assiste all'unificazione delle diocesi "in persona episcopi", ovvero un vescovo che è titolare di due o più diocesi che mantengono le strutture governative, mantengono la titolarità, la loro sede e la loro identità giuridica, tutto questo però sotto un unico vescovo. Questo sistema è giustificato da Roma con la volontà di ridurre il numero dei vescovi, anche perché dal punto di vista economico il risparmio è pressoché nullo, infatti spesso le curie rimangono distinte mantenendo i vari uffici diocesani propri.


Ma che senso ha unire due o più diocesi attraverso questo sistema? Veramente il problema è il numero eccessivo di vescovi? La risposta è "NI". 
Anni fa ebbi modo di colloquiare con un sacerdote che frequentava come studente l'accademia ecclesiastica a Roma, l'istituto che forma i diplomatici vaticani e che spesso finiscono a ricoprire ruoli molto importanti anche nel governo della Chiesa. Durante la chiacchierata mi confessò che uno dei più grandi problemi del dicastero per i vescovi era trovare candidati capaci di assumere il ruolo di governo episcopale, perché il livello culturale del clero è molto basso e questo si traduce in molti casi nella enorme difficoltà da parte di Roma di scegliere candidati sufficientemente all'altezza del ruolo richiesto. Questo sacerdote mi disse che uno dei motivi per i quali si riducono le sedi episcopali non è solo spinto dalla necessità di riorganizzare i territori, ma anche perché non si trovano preti capaci per essere vescovi. Se questo fosse vero, e la fonte sembra essere attendibile, ci troveremmo davanti ad un criterio molto ma molto preoccupante!


Quanto detto però ha dei riscontri, basti osservare la qualità dell'episcopato italiano: un disastro totale! In Italia abbiamo vescovi che non hanno minimamente idea di cosa significhi curare le anime, essere pastori e governare. Anche se fra i criteri di scelta sembrerebbe esserci quello di avere candidati con almeno una licenza o un dottorato in teologia, questo non è una garanzia, infatti conseguire una licenza o un dottorato presso una qualsiasi università pontificia, è tutt'altro che opera da titani. Quanti vescovi dimostrano ignoranza e disinteresse sul piano liturgico piuttosto che amministrativo? Posso avere una licenza in sacra scrittura ma avere anche profonda ignoranza in diritto canonico, tanti vescovi si ritrovano nei guai proprio perché spesso ignorano le norme canoniche creando a volte delle situazioni canonicamente complicate. Basti pensare a tal proposito al caso delle monache di Pienza, che si trovavano in un monastero canonicamente eretto che però non era di loro proprietà, requisito richiesto dal diritto canonico per l'erezione giuridica di un nuovo monastero.


Appare evidente che la Chiesa oggi si trovi in una situazione di liquidazione totale! Del resto quante chiese chiuse e lasciate al degrado? quanti conventi o monasteri si trovano in vendita? Altro che riassetto delle diocesi e spending review, qui più che una "chiesa in uscita" sembra di vedere una chiesa in "chiusura per cessata attività" o peggio "per fallimento". 


La speranza è l'ultima a morire, ma se continuiamo di questo passo rischiamo di far pendere anche quella ai nostri fedeli, del resto, la fede già si è persa e la carità è diventata un mero filantropismo. Che i nostri pastori si mettano una mano sulla coscienza e ritornino a parlare di Gesù Cristo e a mostrarlo alla gente attraverso una santa e bella liturgia. Non serve andare lontano, basta ritornare a quello che la Chiesa ha sempre detto e ha sempre fatto. Altrimenti l'unica cosa che gli rimarrà da fare è gridare al mercato come pescivendoli ambulanti.



don Bastiano Del Grillo


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sabato 10 maggio 2025

Non sparate su Leone - di Aldo Maria Valli


Cari figli miei,

Come avete potuto notare, mi sono risparmiato nel dare commenti a caldo sulla elezione di papa Leone XIV. Credo che le impressioni a caldo siano fuorvianti e mosse esclusivamente dall'emotività del momento. Vorrei continuare ad osservare ciò che sta accadendo per poi iniziare a fare le mie valutazioni e nel caso in cui sia necessario muovere anche qualche critica o perché no anche qualche apprezzamento.

Come avrete potuto notare, nelle pagine di questo blog non ho mai riportato articoli di altri autori. Non per sterile orgoglio, ma semplicemente perchè non mi piace fare pa "rassegna stampa". Desidero piuttosto pubblicare le mie riflessioni e le mie critiche anche aspre se necessario.

Ad ogni modo voglio condividere con voi un articolo di Aldo Maria Valli apparso stamani sul suo blog "Duc in altum" (qui l'articolo originale). L'ho trovato molto in linea con il mio pensiero di questi giorni.

Dal canto mio mi riservo qualche giorno ancora per fare delle valutazioni di carattere personale.

Buona lettura!


don Bastiano Del Grillo 


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di Aldo Maria Valli


Cari amici di Duc in altum, nel campo tradizionalista c’è chi già sta facendo le pulci a papa Leone XIV passando al setaccio perfino le virgole e criticandolo per ogni sfumatura che possa anche lontanamente far supporre un segno di continuità con il pontificato bergogliano.


Con la solita sincerità, devo dire che non condivido questo atteggiamento. L’esordio di Leone XIV mi è piaciuto. Mi è piaciuto il fatto che si sia presentato con mozzetta rossa e stola. Mi è piaciuta la sua emozione. Mi è piaciuto che abbia preparato un testo scritto, segno di rispetto per noi tutti e indicativo del fatto che ha preso subito molto sul serio la sua missione. Mi è piaciuto il nome che ha scelto. Mi è piaciuto il saluto iniziale, in linea con la tradizione cattolica. Mi è piaciuto il continuo riferimento a Gesù. Mi è piaciuta la sua espressione mite. Mi è piaciuta la benedizione solenne. Mi è piaciuta l’omelia tenuta nella santa messa Pro Ecclesia davanti ai cardinali, quando ha parlato di sé stesso come “fedele amministratore” del tesoro della fede.


Qualcuno mi ha scritto: “Ma ha parlato di ponti, come faceva Bergoglio!”. Rispondo: attenzione a non cadere nel fanatismo. Bergoglio, purtroppo, con la sua demagogia , il suo populismo e la sua visione tutta orizzontale ha deteriorato e svilito tante parole e tanti concetti che sono comunque patrimonio della nostra tradizione e non vanno aboliti ma, semmai, recuperati. La parola “ponte” è una di queste, ricordando che il papa stesso è pontifex tra cielo e terra, tra l’uomo e Dio.


Altri mi dicono: “Ha sostenuto la sinodalità, dunque non è dei nostri”. Ma, anche qui, obietto: la sinodalità, intesa come confronto di idee e di sensibilità, di per sé non è una brutta cosa. Brutto è stato l’uso ideologico che ne ha fatto Bergoglio.


Insomma, ci siamo capiti. Lasciamo lavorare papa Leone e preghiamo tanto per lui. Lo seguiremo con attenzione, ma non con sguardo prevenuto, non con il fucile puntato. Non sarebbe cristiano e non sarebbe neppure sensato.


Eleggere Prevost non è stato facile. Ottenere l’ampia maggioranza richiesta in un lasso di tempo così ridotto è stato il risultato di un lavoro notevole nella fase preparatoria da parte di chi, con realismo, ha cercato alternative a ben altre soluzioni che si stavano prospettando. Di questo lavoro bisogna essere grati.


Come ben sapete, dal 2016 sono stato un critico spietato di Bergoglio. Ma perché amo il papa e il papato, non per il gusto di colpire e distruggere. Fare gli ipercritici di professione rende ridicoli oltre che ingiusti.


Quindi, a tutti gli amici tradizionalisti dico: attenti a non cadere nel settarismo.


Sosteniamo Leone nella preghiera.


“Ecce Crucem Domini! Fugite partes adversae! Vicit Leo de tribu Juda, Radix David! Alleluia!”.


Vai Leo! Confermaci nella fede!

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